La Società degli psicofarmaci.

La Società degli psicofarmaci.

 

 

Negli ultimi decenni l’uso dei farmaci è costantemente aumentato. Buona parte di questo aumento è dovuto sia ad una migliore specializzazione della medicina, sia alla disponibilità finanziaria e culturale degli occidentali – ma non solo – a farsi curare.

La durata della vita è aumentata ovunque e la vecchiaia ha protratto di circa 2 decenni il declino naturale della vita. Ciò in poco meno di un secolo di storia, con un’accelerazione considerevole nell’ultimo mezzo secolo.

Ciò che però più impressiona dei dati statistici è l’uso – o l’abuso – degli psicofarmaci, che sta crescendo con un incremento del 100% ogni decennio. Perciò assai difforme dalla crescita esponenziale degli altri farmaci.

Ciò in quasi tutto il mondo occidentale, Italia compresa.

 

L’analisi dei dati sull’uso dei medicinali va però rapportato anche ai dati sociali, perciò a tutte quelle patologie esistenziali di tipo culturale che la società odierna propone e contagia nella massa. Quindi non necessariamente di solo tipo patologico o clinico.

Ciò, ovviamente, con speciale riferimento agli psicofarmaci. Perché, al di là dello stigma in affievolimento, è ovvio che l’anamnesi porti ad un disagio sociale di massa.

 

Il benessere economico dovrebbe portare con sé minore preoccupazione, perciò minore stress. Una vita con meno stress dovrebbe indurre a maggiore felicità; ma le statistiche sugli psicofarmaci paiono contraddire ciò.

Da quando è iniziata la crisi nel 2007 l’uso degli psicofarmaci è ulteriormente lievitato. I dati non sono ufficiali, ma, data la fonte, seriamente ufficiosi. Nell’ultimo decennio (2003/2013) l’incremento è del 130%.

Perciò: che sta accadendo alla nostra società? È una società di disadattati, di falliti, di infelici e delusi?

 

Di certo c’è che questa nostra società globalizzata deve essere ripensata e riprogettata sia nell’industria che nella finanza. La prima è in grado di dare lavoro, la seconda, attualmente, solo di divorare ricchezza ad uso e consumo di pochi soggetti equiparabili all’1% della popolazione.

La disparità di ricchezza in teoria dovrebbe rendere felice la classe abbiente e depressa quella indigente. Ciò, però, non è vero, considerato che la classe agiata non solo usa nella stessa quantità psicofarmaci come da statistica, ma anche droghe.

Sta, inoltre, scomparendo gradualmente la classe media, un tempo classificabile nella borghesia.

 

I costumi nell’ultimo mezzo secolo hanno cambiato la vita sociale, variando assetti, quali il matrimonio, che furono per secoli la base del vivere civile.

Oggi tutti hanno meno tabù religiosi; e il senso di peccato (colpa) ha lasciato anche buona parte dei pochi confessionali ancora attivi. La religione ha assunto connotati non più dogmatici ma solo soggettivi; i papi hanno acquisito, come singola personalità, maggiore carisma mediatico, ma nello stesso tempo lo han fatto perdere nella fenomenologia ecclesiale alla Chiesa. Troppi religiosi sono andati in crisi esistenziale e in depressione. Ed è emblematico che per problemi psichici l’attuale pontefice tema di stare (abitare) da solo.

Ne consegue che pure il credente, pur senza fare delle battaglie culturali femministe e sessuali di piazza, ha diluito la sua coscienza annacquandola con la ricerca di un benessere solo economico e esistenziale.

La famiglia, più che al concetto di coppia allargata alla prole, ha badato a distribuire solo un servizio, perciò trasformando la sua essenza da cellula sociale a semplice associazione. I coniugi hanno trascurato troppo il rapporto interpersonale nella famiglia, privilegiando solo godimento, carriera e business.

L’altro, forzatamente, più che un soggetto è diventato un semplice oggetto. Uno dei tanti oggetti usa e getta di questa nostra società consumistica.

 

Va dove ti porta il cuore è stato il motto programmatico delle ultime generazioni, dedite soprattutto al godimento immediato personale e alla disponibilità economica, sui cui altari hanno sacrificato i valori precedenti.

Ciò avrebbe dovuto favorire una vita migliore, più libera, meno ingessata, perciò maggiormente appagante e felice.

L’uso massiccio degli psicofarmaci, però, smentisce questa visione idilliaca e fallimentare di una vita piena di reclamati diritti personali e vuota di doveri.

Pure l’analisi dei dati sociali sulla sempre minore durata di convivenze o matrimoni va di pari passo nella crescita esponenziale degli psicofarmaci.

Ciò significa che la felicità del vivere è peggiorata, nonostante la maggiore “falsa” libertà economica e sentimentale dell’individuo.

 

Kärl Häbsburg coniò negli anni ’80 il neologismo voldere: volere il dovere.[1]

E per volere intendeva il farlo proprio come scelta consapevole e culturale di vita. In tutto; pure nell’essere coppia, intraprendendo un percorso condiviso di affetto e di famiglia.

Purtroppo pare che le scelte attuali siano più istintuali che condivise e volute, relegando la ponderazione del proprio futuro ad una casualità dovuta alla bramosia dei propri … cromosomi.

 

Dalla mia esperienza acquisita in decenni di studio e di assistenza alle persone in difficoltà esistenziale, ho appreso che circa il 70% delle depressioni sono dovute a fattori sentimentali; solo il 30% ad altre cause sociali.

Vi è, perciò, una carenza di base non solo nell’iniziare a costruire un rapporto affettivo – che rimane quasi sempre attrattivo -, ma soprattutto a farlo durare nel tempo.

La media di un matrimonio o di una convivenza si è ridotta a 15 anni; quella di un secondo rapporto spesso a solo un lustro.

Il dare e ricevere affetto non è più dunque una scelta consapevole, ma solo un’esigenza esistenziale. Che, appunto perché tale, è una falsa esigenza, perché supportata solo da un bisogno istintivo personale.

 

Le donne assumono facilmente psicofarmaci sui 45, gli anziani dopo i 75.

Se per l’anziano può anche essere un fattore normale di decadimento fisico influente sull’involuzione cerebrale, sulla donna assume ben altro aspetto, di norma legato al fallimento di un’unione o di più unioni. Nel secondo caso il pericolo e il consumo è maggiore.

Ovviamente non ho mai inteso la donna come soggetto debole nella coppia, ma solo quello forse meno preparato a parare i contraccolpi dell’età che procede. Proprio perché il massimo fulgore fisico e psichico la donna lo ottiene tra i 40/50 anni.

 

Molti decenni fa, nel 1959, Allan Gant inventò le calze di nylon (collant). Data la leggerezza, praticità, durata e estetica ebbero subito un grande successo.

Tuttavia, dopo il boom iniziale, le vendite calarono drasticamente perché … duravano troppo e non c’era bisogno di ricomprarle spesso. Si ingaggiarono ingegneri per studiare una produzione meno longeva, in modo che l’oggetto creasse un certo business duraturo. Finché si trovò la … smagliatura.

Ovviamente lo studio dell’oggetto usa e getta non appartiene solo al collant, ma pure ai veicoli industriali ed agli elettrodomestici. Anni fa, ad esempio, una nota casa automobilistica tenne per un biennio sotto intensa prova dei veicoli industriali (Tir) per tastarne la durata, sostituendo quei componenti del motore, trasmissione, cambio e freni che duravano troppo. Ciò prima di metterli in commercio.

Dal prodotto utile si è giunti al prodotto commerciale. Il servizio dato dall’oggetto è passato in subordine alla sua perfezione, perciò anche alla durata. Proprio perché il servizio deve dare una resa al produttore più che un aiuto al consumatore.

L’industria ha puntato sul consumismo sia per incrementare la produzione – e con questa i guadagni – sia per dare maggiore occupazione, secondo l’assioma: più persone lavorano e guadagnano, più persone sono in grado di spendere e consumare.

Per ottenere ciò, grazie alla diffusione di massa dei media, si è fatto massiccio uso della pubblicità, bombardando il consumatore con l’inserto subliminale del concetto duale possesso uguale a felicità.

Pure gli Stati hanno rincorso il progresso confondendolo col Pil.

 

Anche la famiglia è stata bombardata con input pubblicitari subliminali, privandola gradualmente di quei valori che erano le vere radici della sua esistenza ed essenza. Proprio per renderla consumistica.

L’amore è stato confuso col sesso, il sentimento con il piacere, il raggiungimento del piacere come prioritario obbiettivo personale dell’individuo. Ne consegue che il coniuge (partner) – indifferentemente maschio o femmina – assumesse nell’altro la concezione di oggetto di piacere nel rapporto sentimentale, anziché di persona paritaria.

La conseguenza pratica del consumismo sessuale è lo sfaldamento progressivo della famiglia e con essa delle unioni.

L’uomo (maschio o femmina) è però un animale sociale che per reggere l’esistenza ha bisogno di un rapporto con l’altro. E se il rapporto crolla è ovvio che l’individuo vada in crisi, perciò in depressione. Con l’inevitabile uso, spesso, di psicofarmaci.

 

La società umana da secoli vive sul concetto della guerra. Dunque che per potenziare il potere abbisogni procedere con la conquista. Conquistare per espandersi e potenziarsi. Ciò, ovviamente, indebolendo o sottomettendo altri.

La guerra di conquista non la si fa solo con le armi, ma spesso anche con l’industria (acquisizioni), con la finanza (speculazione e fusioni), con il commercio (concorrenza), con … l’amore (sesso) nel sedurre e conquistare più che si può.

Più si conquista più ci si rafforza, in un perenne moto che però non può essere perpetuo e infinito. Per cui spesso si ritorce contro chi  lo pratica, che da predatore diventa preda.

 

Un rapporto paritario, in qualsiasi disciplina, non può essere basato sulla supremazia, ma sull’offerta del dare per ricevere qualcosa. In pratica non un semplice e materiale do ut des venale, ma un do ut des esistenziale in grado di valorizzare entrambi nel rapporto paritetico, pur se diverso.

La Società degli psicofarmaci deve essere sostituita dalla Società delle persone.

Perché diversamente vi sarà sempre maggiore conflitto personale, di coppia, sociale e internazionale, specie se le nazioni perseguiranno a sopravanzarsi reciprocamente puntando solo sul Pil.

La felicità non la si misura con il benessere economico, né con il Pil, né con il maggiore possesso di oggetti, anche nella sessualità.

Le felicità la si misura con il benessere psicofisico individuale: quello che non ha bisogno degli psicofarmaci e che è basato su paritario rapporto interpersonale sociale e di coppia.

 

 

Sam Cardell


[1]Filosofia, sociologia ed etica nel nostro tempo.

 
Questa voce è stata pubblicata in Articoli filosofici/sociali e contrassegnata con , , , , . Contrassegna il permalink.

4 risposte a La Società degli psicofarmaci.

  1. Pingback: La Finanza degli psicofarmaci. | Sam Cardell

  2. reuben ha detto:

    Top post. I look forward to reading more. Cheers

  3. simona ha detto:

    Grazie all’autore del post, hai detto delle cose davvero giuste. Spero di vedere presto altri post del genere, intanto mi salvo il blog tra i preferiti.

  4. noemi ha detto:

    Continuate cos, bravi!

Lascia un commento