A Naziati.

A Naziati.

08-04-2008

 

 

 

Un piccolo indifeso, malinconico pennuto giallo, a mezza vita mia, incontrai.

Sperduta eri nella fosca selva della vita, dove sentier chiaro tracciato non c’è,

oppressa dal dolore e dall’indifferenza altrui, di chi guarda solo, e sempre, ai fatti suoi.

 

Eri caruccia, come ogni augellin; tenera, quasi indifesa, e supplichevole mi guardavi;

‘sì come la bella Janne, quel dì, sulla scalinata di Marsiglia, spersa nel suo aspro dolore,

disperata, sperduta, tremante, abbandonata al suo destino, quasi languida morente.[1]

 

Sentii la sua voce flebile, allora, e tornando sui miei passi, indispettito, vicino mi accostai.

Monsieur, Monsieur, il m’aide! ripeteva con flebil voce, continuamente e  sussultante,

scossa dalla necistà impellente, mentre gli altri, indifferenti, mi invitavano ad andare oltre.

 

Che posso far per te? Quanto ti abbisogna? – dissi nella fretta del proceder presto via –

Monsieur, tu m’aides! Monsieur, Dieu mon Sauveur, je te prie: tu m’aides!  Je me trouve très mal!

Fu il suo flebil e implorante tristo lamento, di un esser disgraziato che speranza più non ha!

 

Mi scosse, quel gemito supplicante, giù nel profondo del cuore dove il Samaritano stava,

mentre l’onda dell’egoistica indifferenza correva intorno, imputridita ovunque,

col suo nauseabondo sozzo rotolar tra gli scalini, vie e piazze d’una città impazzita.

 

… poi, vidi te, gialla, nel tuo vivido piumaggio, come pelle corrosa dal colera,

bella, attraente,debole e indifesa nel tuo apparir normale di ansioso civettuol pennuto;

e ricordai quel lamento stridente e implorante “…  Dieu mon Sauveur, je te prie: tu m’aides!

 

Nessuno mai mi disse “Dieu mon Sauveur, ”; non era il buon ladrone ed io non ero Dio!

Ma Dio era allora in me e mi invitava ad esser Lui, pur sulla croce dell’amare l’altro.

Vidi te, pure, e mi ricordai di Lui, di Lui lucente nel tuo fulgido splendor d’essere donna.

 

Ti amai per me e per Lui! ‘sì come faccio continuamente ora nell’assisterti sempre:

nel curar le ferite sanguinanti ancora, d’una vita passata alla ricerca d’una strada certa,

mentre aspetto, paziente, il tuo continuo perfetto e prodigioso rifiorir nell’animo e nel corpo.

 

Bella sei ogni giorno di più! L’amor,  Naziati, ti dona; quell’amor che fisico non è!

Ti fondi in me ed io in te, anche nella distanza grande, come in un perfetto corpo solo.

Cos’è l’Amor per molti? Sesso, coito, amplesso? Eppur dedizione e donazione continua è!

 

Così ti voglio! Come tu vuoi me nell’amor che squassa il desiderio del pensiero nostro,

dove il cammino ancora irto è, là dove il monte verticalmente audace ed imprudente sale.

C’è una croce lassù, su sulla cima, dove Dio c’è! Vi son due bracci: le nostre braccia dell’amare!

 

 

 

Sam Cardell


[1] Tratto dai “Dialoghi” di Sesac – File – 1991

Janne era una giovane donna francese, per la verità anche assai bella, ed era la nostra esperta di intelligence basale. L’avevo raccolta (è proprio il caso di dirlo) cinque anni prima su una scalinata di una bella piazza di Marsiglia.

Mi trovavo là per lavoro con il mio gruppo operativo, e, come spesso avviene quando si opera in uno stato estero, per evitare incidenti di percorso lo Stato ospitante ci aveva affiancato, a supporto, un giovane ispettore locale: Antoine. Verso le dieci di mattina, mentre assorto nel mio lavoro salivo la scalinata della piazza seguito dai miei colleghi, scorsi fugacemente una donna appoggiata al parapetto e seduta su un gradino che tendeva la mano, come se richiedesse l’elemosina ai passanti. Non la guardai neppure e passai oltre, ma sentii, mentre la superavo, una voce flebile implorante che diceva: "Monsieur, Monsieur, il m’aide” (Signore, Signore, aiutami!). Imperterrito continuai a salire, ma quella mi ripeté con maggiore vigoria la stessa implorazione. Incuriosito mi fermai, mi girai e, dopo averla guardata, ridiscesi i pochi gradini che mi separavano da lei. Era in uno stato pietoso. Il suo corpo era scosso da fremiti, il fisico spossato, lo sguardo spento e l’aspetto denotava un deperimento fisico e mentale impressionante. Mi apparve come una donna assai trasandata, denutrita e complessivamente brutta, pur se giovane. Mentre mi avvicinavo guardai nei suoi occhi e vi trovai rassegnazione e degradazione. Sedutomi su un gradino, accanto a lei, presi la mano che tremante mi tendeva e gliela accarezzai con l’altra, e gli chiesi cosa potessi fare per lei e di quanto avesse bisogno. Stette in silenzio per alcuni minuti implorandomi con lo sguardo, come se non avesse più forze sufficienti per parlare. Nel frattempo Antoine mi disse: “Monsieur Excellence, ne voit pas que c’est une femme dévoyée et perdue! Je la prie, vous laissez perdre.”(Signore, lasci perdere. Non vede che è una donna perduta!). Lo guardai e d’istinto gli dissi: “Gamin stupide! Ne m’enseigne jamais chose je dois faire!” (Stupido moccioso! Non insegnarmi mai più cosa devo fare!).

La giovane, guardandomi fisso, infine mi disse: “Monsieur, tu m’aides! Monsieur, Dieu mon Sauveur, je te prie: tu m’aides!  Je me trouve très mal!” (Signore, mi aiuti! Signore, Dio mio Salvatore, ti prego: aiutami! Sto molto male!).

Ne ebbi compassione e non avendo molto tempo da perdere, le accarezzai il capo sporco, la rassicurai brevemente che mi sarei preso subito cura di lei e diedi ordine ad Antoine, che non apprezzò minimamente la mia decisione, di portarla immediatamente nel mio appartamento, di sistemarla nella dependance annessa, di provvedere a farla curare e a tutto ciò che gli potesse servire, oltre che a documentarsi su chi fosse.

Al mio ritorno Antoine mi diede la scheda informativa anagrafica e mi informò che Janne era stata ricoverata, su consiglio del medico, in una clinica. Spulciando tra i documenti che avevo tra le mani trovai che si era laureata con ottimi voti e che aveva, ultimamente, passato momenti molto difficili, oltre ad essere già schedata.

 

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